Un viaggio metaforico attraverso la Tailandia, il Paese che mi ha fatta innamorare infinite volte e mi ha portata su una nuova strada.
Ho scritto questo articolo sul mio viaggio in Tailandia tutto d’un fiato, in un giovedì pomeriggio. Avevo appena saputo che era stato indetto un concorso di scrittura di viaggio.
Il mio racconto ha vinto, ed è stato pubblicato nella raccolta edita da Historica Edizioni (se ti interessa, puoi acquistarlo qui).
Il mio primo piccolo capolavoro.
Ciao mamma, parto per la Tailandia!
“Lo chiamano il paese del sorriso”, spiegavo ai miei genitori quando gli annunciai che, dopo la laurea, sarei partita per un mese alla scoperta della Thailandia.
Coglievo ogni occasione per racimolare soldi: il mio compleanno, Natale, la laurea stessa. Ogni regalo era finalizzato a sostenere il mio viaggio.
Alternavo ore di studio della tesi, a ore di studio di guide turistiche, siti, blog o qualsiasi altra fonte di informazione ritenessi interessante. Quando finalmente completai il mio itinerario, non potevo essere più orgogliosa: ce l’avevo fatta, da sola.
Ero pronta.
Non stavo nella pelle. Era il mio primo vero viaggio! Così lo definivo.
Il ventisette febbraio 2018, con il mio zaino nuovo sulle spalle, partivo con in mano un biglietto aereo: direzione Bangkok.
Il mio viaggio in Tailandia poteva iniziare.
Traffico, smog, caos, tuk tuk, motorini impazziti, sporcizia… Il primo impatto con la grande capitale Thai, non fu proprio gradevolissimo.
Ma passo dopo passo, tempio dopo tempio (noce di cocco dopo noce di cocco!), mi innamoravo sempre di più della tanto attesa e sognata Bangkok.
Bangkok va capita. Non è una bellezza evidente, non è limpida, non è oggettiva. È una bellezza sottile, la si legge tra le righe, è soggettiva. Ognuno si innamora di una Bangkok diversa.
Io mi innamorai del suo stile unico, così diverso dal mio panorama riminese, dei suoi abitanti, delle sue mille facce. C’è la Bangkok sacra dei templi e dei monaci che camminano per le strade con i loro abiti arancioni (kesa), c’è quella turistica di Khaosan road e Chinatown, c’è quella legata alle tradizioni e alla cultura dello street food con il tipico Pad Tai o i famosissimi spiedini di insetti, poi c’è la Bangkok spoglia e silenziosa, lontana dalle strade affollate, fatta di “case” in lamiera, sporcizia, cani randagi e persone felici.
Esatto, persone felici.
Fu proprio in quelle strade povere e semi deserte, che il vero viaggio, iniziò.
Seconda tappa: Ayutthaya.
Arrivai in stazione, comprai il biglietto e mi recai al binario. Vidi un barbiere.
Ero confusa. Dove mi trovavo? Tutto attorno a me sembrava indicarmi di essere effettivamente nel posto giusto… ed infatti così era. Evidentemente qualcuno aveva avuto un’urgenza e con una sedia, un telo e un paio di forbici avevano improvvisato un salone!
La Thailandia è anche questo: spontaneità, naturalezza, vita che esplode e rimbomba, riecheggia e ti finisce dentro.
Ayutthaya fu una boccata d’aria fresca, fatta di ritmi lenti, giri in bicicletta, storia, cultura, mercatini e feste locali.
I giorni scorrevano veloci, ma sentivo che li stavo vivendo al cento per cento. Mi sentivo connessa con il mondo intorno a me, e con me stessa.
Così, treno dopo treno, città dopo città, iniziai a lasciare andare qualcosa, parte di quella zavorra che mi stavo portando dietro, senza rendermene conto.
Ogni giorno che passava mi sentivo più consapevole, più ricca, più leggera, più onesta verso me stessa.
Ero alla soglia del mio ventiquattresimo compleanno e avvertivo l’avvenire di un grande cambiamento, una rivoluzione, dentro di me.
Terza tappa: Chang Mai.
Che meraviglia di città. Così intensa, ricca, vivace, allegra. È un melting pot di culture, casa di molti nomadi digitali. Per strada si respira libertà.
Chang Mai me la sono proprio goduta, visitandola in lungo e in largo, spiando la vita delle persone attorno a me, concedendomi un po’ di quella famosa routine che a casa temevo tanto.
Durante un viaggio particolarmente lungo, è facile “perdersi”. Perdere l’orientamento, perdere il senso del tempo, perdere le abitudini. Io, onestamente, non vedevo l’ora! Penso che sia successo proprio qui, a Chang Mai. Qui ho iniziato a perdere l’Arianna che tutti conoscevano, l’Arianna che stava trattenendo troppo, dentro.
E sempre qui, ha iniziato a liberarsi l’Arianna che io, nel profondo, sapevo esistere.
Iniziai a non curare troppo il mio aspetto, non in senso negativo ovviamente, ma quel poco che basta per sentirsi liberi, sinceri, puri. Smisi di guardarmi allo specchio la mattina prima di uscire di casa. Iniziai a lasciarmi andare.
Ecco perché sono così legata a questa città: qui conobbi il mio potenziale.
E così, lascio andare qualcos’altro, la mia zavorra si fa più leggera e il mio bagaglio pesante.
Quarta tappa: Pai.
A Pai c’è una grande comunità di hippy provenienti da ogni parte del mondo. È immersa nella natura, è silenziosa, piccola ma eccentrica.
Dalla città tornai alla natura, ritrovai il mio centro, feci lunghe passeggiate, passando fra strade deserte e prati verdi smeraldo. Trascorsi le serate nei locali della zona, ascoltando musica dal vivo di tanto in tanto, mi immersi nella vita di paese.
Ero calma, serena. Non avevo fretta, non avevo impegni. Mi godevo ogni singolo istante prendendo ciò che il destino mi presentava, dando debito tempo ad ogni cosa.
La mia zavorra si fa più leggera e il mio bagaglio più pesante.
Era tempo di avventura, avevo voglia di uscire dal terreno battuto e provare qualcosa di unico. Trovai una gita di due giorni in una foresta proprio vicino a Pai.
Partii con la guida, un ragazzo tailandese simpaticissimo e il resto del gruppo, qualche altro avventuriero.
Camminammo per ore sotto il sole cocente e a tratti, all’ombra di altissimi alberi verdi, fino ad arrivare al villaggio che ci avrebbe ospitato per la notte.
L’accoglienza fu a dir poco calorosa: bimbi che scorrazzavano felici e ci venivano incontro sorridenti, tutti gli abitanti vennero fuori dalle loro capanne per darci il benvenuto.
Quella sera, preparammo la cena tutti insieme, seduti per terra, con pentole e recipienti fatti a mano e il fuoco. Niente gas, niente elettricità, niente acqua corrente.
Niente, eppure tutto.
Mangiammo a lume di candela, raccontandoci aneddoti e conoscendoci meglio.
Ero felice. Ma felice per davvero, provai qualcosa che non avevo mai provato prima.
Sotto un tetto di paglia e con un materasso improvvisato, dormii come un sasso e mi svegliai il mattino seguente con il canto del gallo che annunciava il nuovo giorno.
Facemmo colazione con una frittata, bevemmo acqua di cocco da un bicchiere di bambù.
Perché così poco mi sembrava così tanto?
Al solo pensiero ancora oggi sorrido, mi esplode il cuore.
Dopo una visita al villaggio, salutammo e ringraziammo immensamente tutti gli abitanti che ci avevano accolto e riprendemmo a camminare.
Lungo il percorso incontrammo ragni giganti e serpenti, attraversammo torrenti e grotte buie. Infine ci fermammo per pranzo vicino ad un corso d’acqua. Ricordo perfettamente la sensazione rigenerante dopo essermi immersa nell’acqua gelida! Presente, grata, viva, felice. Ero nel posto giusto al momento giusto e me lo sentivo scorrere nelle vene, volevo gridarlo al mondo.
Lo zaino si fa sempre più pesante, ma portarlo è un piacere.
Ritornai alla civiltà. Scelsi Chang Mai, il posto che più di ogni altro mi faceva sentire a casa.
Tornai li, ma io non ero più la stessa. Ero più bella. Pulita, leggera, limpida, come le onde del mattino, quelle timide e silenziose, che si infrangono sulla riva facendo appena un accenno di schiuma e quel suono inconfondibile.
Ero un’onda. Fluivo con l’oceano.
Quinta tappa: Koh Phangan
Dopo aver girato la penisola in lungo e in largo, era arrivato il momento di prendere il mare.
Salì su un traghetto che mi portò nella magica isola di Koh Phangan, conosciuta per il full moon festival, il festival della luna piena, che ogni anno raduna migliaia di persone da tutto il mondo. Artisti di strada, fuochi d’artificio, street food thailandese, a piedi nudi sulla sabbia, con il rumore del mare di sottofondo e un tetto dipinto di stelle.
Qui trascorsi una settimana magica, surreale.
Su quest’isola le persone erano di una tranquillità disarmante, una serenità contagiosa. La vita sembrava scorrere con un ritmo diverso, i tempi erano dilatati.
Passai da una spiaggia all’altra, conobbi le scimmie da vicino (molto vicino… venni attaccata da una madre inferocita!), camminai a piedi scalzi, smisi di pettinarmi i capelli, mangiai con degli sconosciuti, feci immersioni subacquee, mi innamorai della vita.
Ogni giorno, era un inno alla vita. Mi svegliavo, facevo colazione, uscivo di casa, riempivo il mio zaino (di esperienze, non di cose) tornavo.
Ero sempre più leggera, sempre più onda.
Questo viaggio in Tailandia si stava rivelando essere molto di più.
Sesta tappa: ritorno a Bangkok
Il mio viaggio era ormai in dirittura di arrivo. Da Koh Phangan ripresi il traghetto, tornai nella penisola e da lì svariati treni per raggiungere Bangkok, dove avrei preso l’aereo qualche giorno dopo per tornare in Italia.
Appena mi ritrovai nella grande capitale, tutto era come doveva essere.
Temevo di trovarmi spaesata o fuori luogo dopo settimane trascorse nella natura, temevo di non sopportare il caos, lo smog, il traffico. E invece mi piaceva tutto ciò. Perché riuscivo a guardare oltre, riuscivo a leggere tra le righe della seducente Bangkok e riuscivo ad arrivare ai sorrisi delle persone.
Ora anche io sorridevo, anche io camminavo più lentamente, respiravo più profondamente.
Anche io facevo parte del “paese del sorriso”.
E così, tutto ad un tratto, ero pronta a tornare in Italia. Sapevo che tutto quello che avevo guadagnato, che avevo imparato, non lo avrei perso. Sapevo che la nuova Arianna nata durante questo viaggio in Tailandia non mi avrebbe abbandonata. D’altronde, il mio zaino tornava con me. La zavorra l’avevo lasciata lungo il cammino.
Sarei tornata a casa con qualche vestito in meno, qualche nodo in più tra i capelli, con la pelle color bronzo, i capelli color oro e la consapevolezza di aver portato alla luce tutto quello che nascondevo dentro.
La Thailandia mi aveva rapita e mi aveva cambiata. Aveva tirato fuori quella parte selvatica di me che non riuscivo a liberare.
Ero rinata e sapevo chi ero. Non avevo più paura.
Scopri chi sono diventata e cosa ho fatto dopo questo meraviglioso viaggio in Tailandia qui.